Qualche anno fa sono andata al vivaio e ho comprato una Dieffenbachia. Una bella pianta a foglia verde originaria dell’America Centrale che ho sistemato in casa, vicino a una finestra.
Stava bene: cresceva, generava nuove foglie, ampliava il suo volume. Insomma faceva proprio quello che mi aspettavo da lei. Poi un giorno deve esser successo qualcosa. Deve aver pensato che crescere in quel modo non faceva per lei, non le bastava, oppure non le interessava più. Forse voleva riuscire ad appoggiarsi al davanzale della finestra e guardare fuori (se me l’avesse chiesto le avrei detto che in realtà il panorama non era poi così entusiasmante, ma tant’è). Insomma ha cominciato ad innalzarsi. Io in effetti non me ne sono accorta subito, non avendo l’abitudine di misurare ogni mese l’altezza delle mie piante sullo stipite della porta stile marmocchi di casa. Però col tempo è stato difficile non notare che la Deffy puntava al cielo e che il suo tronco diventava sempre più alto. Tanto che ad un certo punto ho dovuto legarla ad un’asta di bambù per sorreggerla, essendo entrata in modalità Torre di Pisa. Anche le foglie si erano concentrate tutte nella parte superiore, creando una sorta di chioma che di sicuro non soffriva di vertigini. Mi sono detta che forse si era ammalata, che aveva preso un parassita che inficiava la sua normale crescita. A un certo punto ho anche valutato che avesse trovato la bottiglietta di Alice con su scritto Bevimi e che non avesse resistito. Continuavo a dire ma guarda che brutta che è diventata, non è normale, non sembra nemmeno più una Dieffenbachia.
E allora lì ho capito: la mia Deffy voleva essere una Palma. Bella alta, tronco sottile e slanciato, ciuffo verde in cima. Allora guardandola come se fosse stata una Palma, immaginando di avere comprato una Palma, mi è effettivamente sembrata una Palma. La sua immagine reale diventava sempre più coerente con l’immagine che avevo nella mia mente. Mi sono sentita fiera di lei, ho pensato Brava Deffy, volevi essere una Palma e lo sei diventata, nonostante tu sia nata Dieffenbachia. Ti sei lasciata alle spalle le caratteristiche che ci si aspettava da te e hai fatto tue quelle di una Palma.
Allora qui il punto non è -se ci credi puoi diventare ciò che vuoi-. Il punto è: cerchiamo di non lasciare che ciò che crediamo essere la nostra natura ci incateni in una serie di comportamenti, atteggiamenti e azioni coerenti solo ed esclusivamente con quella natura. Perché dentro di noi ci sono tante nature diverse, a volte anche opposte fra loro. Ma c’è spazio per tutte, ve lo assicuro. Lo diceva anche Walt Witman: “Sono vasto, contengo moltitudini”. Non lasciamo allora che quello che crediamo ci definisca fin dall’infanzia ci definisca anche nel nostro presente e nel nostro futuro. Non perché non sia corretto, ma perché sarà quantomeno parziale. È l’ottica deterministica che, a mio avviso, deve essere rivista e ammorbidita: ciò che eri determina ciò che sei e ciò che sarai. Perché? E chi lo dice? Non si può cambiare quindi? Non si può fare spazio a nuovi modi di essere, di fare, di pensare? Non si possono integrare modalità vecchie e modalità più nuove? La mia Deffy era bassa e tozza, ma non aveva voglia di essere così per sempre. Ci ha provato e l’esperienza le ha dato ragione: ora è alta e slanciata. Allora chi è nel giusto? Beh lei, innegabilmente. E sapete perché? Perché io il suo cambiamento lo vedo tutti i giorni, ce l’ho costantemente sotto gli occhi. Spesso ci attribuiamo caratteristiche che sembrano scolpite in noi come nella pietra: -Eh sai, io sono così- Ma così come? Sempre e solo in quel modo? Sicuro sicuro?? Io non credo, e non lo crede nemmeno il Counseling.
Certo cambiare a volte è difficile e doloroso, ma può portare ad arricchire la propria esistenza e a fare cose che non si sarebbero mai nemmeno immaginate. Tipo diventare una Palma.