Suona il campanello.
“Chi è?”
“Sono l’ansia”
Nooo dai oggi no, volevo uscire, devo consegnare quella relazione e poi viene mia suocera a cena.
“Mmmhh… non ci sono!”
“Sì che ci sei, mi hai appena risposto. Non sei molto furba”.
Cacchio. “Beh invece non ci sono vai via!”.
“Ok…”
Bene stavolta l’ho sfangata. Dunque adesso vado a mettere avanti il ragù per stasera, poi devo chiamare in ufficio così se riesco per le 16.00 vado a prendere “AAAAAaaah ma cosa fai qua??”: l’ansia è sul divano. Seduta bella sorridente che mi guarda.
“Ma scusa non ti ho aperto, come sei entrata?”.
Mi guarda quasi impietosita. “Dai ma davvero me lo chiedi? Ci sono almeno 18 modi per entrare qui, stavolta ho scelto le tubature dell’acqua che passano dietro al termosifone in bagno. Ah sì infatti scusa, ti ho bagnato il cuscino”.
Mi ha fregata.
Mi avvicino, riluttante, e mi siedo di fianco a lei. Ha anche un odore sgradevole.
“E adesso?” le chiedo (e mi chiedo).
L’ansia mi guarda, abbassa gli occhi e parte con un pippone lungo e accorato sul fatto che le dispiace, che non ne può più di essere trattata così, nessuno la vuole nemmeno sentir nominare, si sente odiata da tutti ma in realtà lei non è cattiva, fa solo il suo lavoro. Tra l’altro non era nemmeno il suo sogno questo, dice che voleva fare la cantante country, ma le cose sono andate così e adesso cerca di fare il suo dovere al meglio che può.
Io un po’ la ascolto e un po’ cerco con gli occhi delle vie di fuga ma la vedo dura, questa è veloce e scaltra. E io oggi ho anche un po’ di mal di schiena.
Quindi mi rassegno a tenerla con me tutto il giorno, sperando che ad un certo punto decida di andarsene spontaneamente. Mentre penso a tutto questo noto che su un piede, scalzo e anche un po’ sporco, ha una scritta nera.
“Cos’hai lì?” le chiedo avvicinandomi per guardare meglio.
“Ah sì, è una scritta.”
“Sì questo lo vedo, ma cosa dice? E poi perché ce l’hai su un piede?”
“Mah non so, prima di andare in missione mi riempiono di scritte con un pennarello nero. Io non le leggo, tra l’altro alcune sono proprio scomode”. Così dicendo si alza e si scopre gambe e braccia, mi mostra un palmo di una mano mentre con l’altra si scopre il collo. E noto che è piena di scritte, alcune piccoline con caratteri delicati, altre grosse maiuscole e squadrate. Inizio a leggere qualcosa: paura, inquietudine, vergogna, preoccupazione, agitazione, imbarazzo.
Non capisco.
“Non capisco”, lo dico anche a lei. “Cosa sono queste scritte?”
“Ah cara, ti ripeto non lo so. È roba tua sai? Hanno scritto tutto questo prima di mandarmi a questo indirizzo. Non succede sempre. A volte mi capita di andare da qualcuno con una sola scritta gigante. A volte ne ho solo due o tre. Ieri dalla tua vicina sono andata vicino al record: 14! Oggi, da te, sono nove. Sei bella complicata eh?”.
“Beh… anche tu”. Rispondo.
Però mi rendo conto che inizio a provare quasi simpatia per lei, oddio non la vorrei qui ogni giorno però devo ammettere che ora non mi disturba. Mi sta aiutando a capire, mi sta spiegando le cose. Mi piace capire, mi fa sentire meglio. Ora che mi ha mostrato le sue parti mi pare meno minacciosa, le potrei quasi offrire un tè. Beh magari un caffè che è più veloce, ho troppe cose da fare oggi.
Dalla cucina le urlo se preferisce un espresso, un decaffeinato o un caffè d’orzo.
“Un espresso grazie, l’orzo magari domani”.
“Domani??” mi affaccio sulla porta. “Ma perché torni anche domani?”
“Ah no scusa”, mi risponde con un sorriso. “È la forza dell’abitudine. Chissà, staremo a vedere. Ma di che ti preoccupi tanto ormai mi conosci”.
“Mmmh ok” dico, un po’ incerta. In effetti non ha tutti i torti.
“Latte o zucchero?”